Intervista a Marco Mattia Conti: il ruolo del preparatore atletico

Oggi una bella intervista ad una persona che stimo molto, sia come amico che come professionista. Si tratta di Marco Mattia Conti, 52 anni, allenatore di nuoto di secondo livello da 13 anni. Tra le tante altre cose di cui si occupa è anche un buon nuotatore master di livello internazionale e soprattutto è stato per ben 11 anni il preparatore atletico del C. C. Ortigia.

Marco mi piacerebbe anzitutto conoscere la tua sensazione generale di questi anni passati tra la pallanuoto di A1 e A2.“Sono stati anni belli ed appassionanti dove ho seguito centinaia di atleti, maschi e femmine (tra cui due atleti che poi hanno partecipato ai Mondiali del 2009 e del 2013 e un atleta che ha partecipato alle Olimpiadi di Londra 2012) cercando sempre di ottenere il massimo delle loro potenzialità atletiche durante le partite, ma soprattutto credo di aver sdoganato in senso umano e tecnico un settore spesso sottovalutato. Mi spiego, raramente il preparatore atletico nelle squadre di alto livello, se c’è, viene citato, se non come una sorta di sergente di ferro che ‘massacra’ gli atleti sperando di farne uscire qualcosa. Chi dei miei colleghi ha lavorato in questa direzione, o ricercato il ‘main coach’, credo si  sia poi spesso ritrovato con una squadra piena di infortunati, demotivata ed inconsciamente ma tragicamente fuori forma.”

Spiegaci meglio, in cosa è consistito il tuo lavoro al C.C. Ortigia?“Ho seguito la preparazione in palestra ed il nuoto in acqua delle prime squadre, ma anche dei cosiddetti aggregati, come Under 20 o Under 17 e in molti casi anche degli Under 15, questi ultimi solo come nuoto.Ho fatto in pratica il lavoro di base, qualcuno lo chiama, sbagliando, il ‘lavoro sporco’ nelle sedute mattutine, quasi tutte le mattine, su cui poi nella seduta pomeridiana il main coach costruiva la tecnica individuale e la tattica di squadra. Aggiungo che in tutti questi anni, prima con le donne poi con i maschi, ho trovato piena ed ampia fiducia e collaborazione nella figura di Gino Leone, senza il quale non avrei potuto lavorare in piena libertà di giudizio e con consapevole strategia tecnica e metodologica.”

Cosa ne pensi del ruolo del preparatore nel contesto della pallanuoto moderna di alto livello?“La mia figura rientra in un puzzle di ruoli, tutti allo stesso livello importanti, come il direttore sportivo, il massaggiatore, lo psicologo, oltre ovviamente al capo allenatore e gli altri vice allenatori, assolutamente imprescindibile. Nella pallanuoto moderna in grande evoluzione fisico/tattica, non si può trascurare un settore come la preparazione fisica a secco e il nuoto. In A1, figuriamoci poi in Nazionale, tutte le squadre hanno un preparatore, molte di quelle in A2 idem e ormai la figura del main coach che riunisce in sé tutte queste figure, peccando di presunzione,è superata da molti anni. Ma badate non un preparatore qualsiasi, a mio avviso, solo un allenatore di nuoto ben addentro alle dinamiche fisiologiche della pallanuoto di alto livello può districarsi tra le tante problematiche di una squadra, sempre presenti con cadenza quasi giornaliera.”

Di quali problematiche parli?
“In palestra costruiamo atleti di una certa prestanza fisica per uno sport di forte contatto fisico come la pallanuoto, li preserviamo dagli infortuni, i più frequenti relativi al cingolo scapolo-omerale, la pelvi, la fascia lombare, oltre ai muscoli delle gambe e le articolazioni del ginocchio, non costruiamo solo masse muscolari da impatto ma soprattutto muscolature armoniche ed equilibrate per uno sport fatto da veri e propri ‘legionari’ dell’acqua. In particolare lavoriamo poi sul recupero degli infortunati o sulla rieducazione muscolare e scheletrica in modo da evitare che lo stesso infortunio con la stessa sollecitazione o trauma possa ripresentarsi, questo è un lavoro ‘oscuro’ e molto trascurato dai più; in pratica risolvere la preparazione a secco con semplici addominali o pesi e macchine è molto semplicistico e causa disastri, creare ‘bestioni’ con 100 kg di muscoli significa anche un consumo di ossigeno spropositato in acqua che poi si risolve in scarsa resistenza alle velocità ormai incredibili raggiunte in questo sport.”

Quindi poi in acqua cosa succede?“Hai mai provato a confrontare la visione di una partita di solo qualche anno fa con le attuali? E’ come vedere una gara di Mark Spitz di Monaco ’72 e confrontarla con il Michael Phelps di Rio 2016. Spitz sembra nuotare al rallentatore, alla moviola, e con una tecnica a dir poco discutibile vista con le nuove metodologie. La nuova pallanuoto oltre a sfoderare una tecnica di palleggio velocissima e assolutamente precisa, è basata su spostamenti di gioco repentini e soluzioni tattiche sempre diverse e basate spesso sull’errore o meglio sul ritardo di preparazione dell’avversario; al di là della tecnica individuale sopraffina, chi è poco o male allenato sbaglia e permette all’avversario di trovare una soluzione offensiva o difensiva vincente. E’ quello che ho visto nelle due finali olimpiche, una Serbia maschile e un U.S.A. femminile non solo dotate di grande tecnica individuale e di squadra ma soprattutto una preparazione atletica a dir poco ‘stellare’ che ha schiacciato le avversarie a semplici comprimarie e evidente affanno…sembrava la finale di calcio degli ultimi mondiali dove una Germania preparata fisicamente in maniera straordinaria ha sbeffeggiato il grande e sicuramente più tecnico Brasile.Non voglio rubarti altro spazio ma se vuoi possiamo affrontare il discorso ‘preparazione atletica’ in acqua in un secondo momento in maniera più esaustiva.”


Grazie Marco e a presto.

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